Il crollo della discarica mineraria di Baia Borsa – 2000

Nel primo mattino del 10 marzo 2000 piogge torrenziali (37 litri/m2, secondo i dati di una stazione meteorologica locale) abbattutesi nella regione di Maramures, in Romania, associate a un diffuso scioglimento del manto nevoso dalle pendici circostanti, portarono a un rapido quanto incontrollabile aumento del livello dell’acqua all’interno di un bacino di decantazione al servizio della miniera di minerali metallici di Baia Borsa.

Alle ore 11 dello stesso giorno circa 20.000 tonnellate di scarti minerali accumulati nel bacino, risultanti dalla lavorazione di giacimenti complessi di piombo, rame e zinco, defluirono attraverso una falla apertasi nell’argine dell’invaso e si riversarono nel fiume Viseu che fu gravemente inquinato da residui minerali e da metalli pesanti.

La contaminazione raggiunse ben presto il fiume Vaser e, successivamente, il fiume Tibisco, uno dei principali affluenti del Danubio, che scorre attraverso l’Ucraina, l’Ungheria e la Serbia.

L’11 marzo 2000 il Governo ungherese si appellò alle segreterie dell’UNEP (Programma per l’Ambiente delle Nazioni Unite) e dell’OCHA (Ufficio di Coordinamento per gli Affari Umanitari) sollecitando assistenza urgente nell’analisi delle acque dei corsi d’acqua interessati dall’inquinamento.

Questo incidente seguì a distanza di poco più di un mese il disastro ambientale di Baia Mare, verificatosi alla fine di gennaio 2000 nella stessa regione, quando acque e fanghi contaminati provenienti da un impianto aurifero si erano riversati nel fiume Somes, un altro affluente del Tibisco.

Il residuo della lavorazione dei metalli estratti dalla miniera di Baia Borsa è convogliato attraverso una condotta in una piccola valle adiacente, alla quota di 830 m s.l.m., dove viene depositato all’interno di tre bacini di decantazione collegati fra di loro.

In condizioni normali di attività, l’acqua chiarificata del bacino inferiore viene pompata nel bacino superiore, che è quello nel quale si verificò l’incidente.

Questo invaso, largo circa 100 m e lungo 400 m, era già quasi completamente pieno quando le intense precipitazioni del 10 marzo, combinate con l’acqua di scioglimento delle nevi, provocarono una tracimazione seguita dall’apertura di un ampio varco a forma di V nell’argine costruito con gli stessi depositi della miniera.

Già il disastro di Baia Mare, avvenuto cinque settimane prima, aveva determinato un grave impatto sulle regioni attraversate dal fiume Tibisco che ospita oltre cinquanta specie diverse di pesci, venti delle quali protette.

Secondo i rapporti ufficiali delle autorità ungheresi, oltre 1.200 tonnellate di pesci sono state distrutte dall’ondata inquinante proveniente dal bacino di Baia Borsa, con un danno totale stimato a 3,4 milioni di euro.

Anche la fauna e la flora del Parco Nazionale Hortobagy sono state interessate da questo massiccio inquinamento.

L’area del parco, che si estende su 55.000 ettari di pianure erbose, acquitrini e corsi d’acqua, ospita una grande varietà di specie selvatiche.

In particolare, gli uccelli migratori sono molto numerosi e si nutrono dei pesci e degli insetti attratti dalle acque del fiume.

In questo modo la contaminazione si è ulteriormente propagata attraverso la catena alimentare, aumentando considerevolmente i danni biologici subiti dall’ecosistema.

Anche l’impatto sull’economia locale è stato particolarmente grave: il consumo di pesce si è ridotto drasticamente non soltanto nella regione contaminata ma in tutta l’Ungheria.

Ciò è stato accompagnato da una sensibile riduzione del turismo, una voce di primaria importanza nell’economia dell’area, considerando che il 60% dei turisti della pianura del Tibisco è costituito da pescatori.

I fattori che hanno contribuito a questo incidente sono imputabili a:

  • inadeguatezze del progetto dell’intero sistema (condizioni di stabilità degli invasi per sterili e processi di trattamento dei metalli) della miniera di Baia Borsa, specialmente per quanto concerne le misure di sicurezza in caso di condizioni operative anomale;
  • carenze manutentive nella gestione dell’impianto, soprattutto contro i rischi di straripamenti e riversamenti, e in termini di risposta adeguata in caso di emergenza;
  • norme di autorizzazione dell’impianto incomplete e inappropriate, sistemi di monitoraggio e di ispezione inadeguati.

Cronologia dei principali crolli di discariche minerarie