I tronconi ancora in piedi della diga del Gleno.

Il disastro del Gleno – 1923

Il 21 marzo 1907 viene presentata dall’avv. Federici, per conto di Giacomo Trümpy, su progetto dell’Ing. Tosana di Brescia, la prima domanda di concessione per lo sfruttamento delle acque del Nembo e del Povo, con uno sbarramento su questo ultimo alla piana del Gleno*.

Dopo altre istanze il 31 gennaio 1917 la ditta Viganò di Albiate di Triuggio (MI), subentrata nella richiesta, viene autorizzata a costruire una diga con capacità di 3,9 milioni di metri cubi. Nel 1917/18 iniziano i lavori accessori quali tracciamenti, canali, strade, teleferica ecc. Nel 1919 cominciano gli scavi per la costruzione di una diga a gravità, su progetto dell’Ing. Gmür, con capacità di 5 milioni di metri cubi che prevede l’uso della calce prodotta da un forno posto a fianco della centrale di Valbona. Nel 1920 si dà il via ai lavori per la realizzazione del cosiddetto “tampone” che sbarra nella gola la vallata: insieme alla calce vengono impiegati anche 9.240 quintali di cemento. In agosto muore l’Ing. Gmür e viene assunto definitivamente l’Ing. Giovan Battista Santangelo, palermitano, il quale mette a punto un progetto di diga ad archi multipli da impostare sopra al “tampone” che ormai ha raggiunto i 18-20 metri di altezza. Sarà l’unica diga al mondo con queste caratteristiche

Nel 1921 la ditta Viganò avvisa il Genio Civile di Bergamo della variazione del progetto e, senza aspettare l’autorizzazione come da prassi errata ma corrente, incarica dei nuovi lavori l’impresa Vita e C. di Corbetta (MI) la quale, stando a numerose testimonianze di operai scalvini, opera in modo scorretto, frettolosamente e senza curarsi della qualità. Anche i materiali usati non sono sempre dei migliori e nei piloni finisce un po’ di tutto quindi nel muro della diga si verificano perdite, ricordate anche dal guardiano Francesco Morzenti. I lavori proseguono nel 1922 e nel 1923; la diga raggiunge per la prima volta la sua massima capacità il 14 ottobre 1923.

Il 1° dicembre 1923 alle ore 7.15 circa, la parte della diga costruita sopra il “tampone” crolla e quasi 6.000.000 di metri cubi d’acqua si riversano nella vallata sottostante. La fiumana, seminando morte e distruzione, travolge Bueggio, il Dezzo, cinque centrali idroelettriche, Angolo con Mazzunno e Corna di Darfo per terminare la sua corsa nell’Oglio e poi nel lago d’Iseo. Le vittime innocenti, tra Valle di Scalve e Valle Camonica, sono ufficialmente 359, ma è probabile che ve ne siano state altre. Ingenti sono anche i danni materiali causati a privati, industrie e strutture pubbliche.

Vengono organizzati comitati per aiutare i danneggiati ed il totale raccolto sarà di circa 4,5 milioni di lire. Per il risarcimento dei danni il governo stanzierà 6 milioni mentre la stessa cifra sarà corrisposta da Virgilio Viganò, proprietario degli impianti, diga compresa; cifre insufficienti e non sempre distribuite equamente.

A Bergamo il 30 dicembre 1923 il Procuratore del Re, Cav. Giusti, incrimina per omicidio colposo Virgilio Viganò, l’Ing. Santangelo, suo progettista, e Luigi Vita impresario costruttore. L’opinione pubblica ritiene da subito il Viganò unico responsabile della tragedia, ma chi ha studiato a fondo la questione sa che non è il solo. Il processo si apre il 30 marzo 1925 presso la Corte d’Assise di Bergamo e, dopo vari rinvii, si conclude il 4 luglio 1927 con la condanna del Viganò e del Santangelo ad una pena di 3 anni e 4 mesi di detenzione, al pagamento di 7.500 lire oltre alle spese processuali; vengono poi condonati 2 anni e la pena pecuniaria. Assolto il Vita. Tutte le Parti presentano ricorso presso la Corte di Appello di Milano che fissa al 19 novembre 1928 la data del processo. Il 21 giugno 1928 muore per una emorragia cerebrale, a 46 anni, Virgilio Viganò. Il processo di appello si conclude il 27 novembre 1928 con l’assoluzione di Virgilio Viganò, in seguito al suo decesso, e dell’Ing. Santangelo per insufficienza di prove.

Tratto dal libro sul disastro del Gleno “Le montagne non dormono” di Sergio Piffari.

*(Il luogo deve il suo nome alla vicinanza del Monte Gleno in Val di Scalve, provincia di Bergamo, che con i suoi 2.882 m di altitudine rappresenta una delle principali cime delle Prealpi Orobiche.)

Il sito delle celebrazioni del centenario dal disastro.