Introduzione del Gruppo Nazionale per la Difesa dalle Catastrofi Idrogeologiche

Il Gruppo Nazionale per la Difesa dalle Catastrofi Idrogeologiche (G.N.D.C.I.) è stato costituito presso il Consiglio Nazionale delle Ricerche (C.N.R.) nel 1985 quale Gruppo Operativo del Dipartimento della Protezione Civile. Fra i compiti del G.N.D.C.I. vanno in particolare ricordati: lo sviluppo delle conoscenze scientifiche nel settore della difesa dalle inondazioni, dalle frane, dal depauperamento delle risorse idriche sotterranee, dall’erosione costiera e la gestione delle azioni di intervento scientifico in occasione di emergenze idraulico-geologiche nell’ambito delle iniziative condotte dal Dipartimento della Protezione Civile.

Il G.N.D.C.I. rappresenta dunque l’Istituzione scientifica nazionale più direttamente coinvolta nelle attività di previsione e prevenzione degli eventi idrogeologici estremi e degli eventi franosi a grande rischio. La necessità di istituire un tale Gruppo di ricerca è stata precipuamente determinata dall’estrema fragilità del territorio italiano nei confronti di fenomeni naturali, o indotti da attività antropiche, che possono scatenare situazioni di rischio e di emergenza per intere popolazioni.

Piuttosto frequentemente, infatti, il territorio italiano è colpito da calamità che inducono ingenti distruzioni, spesso con perdite di vite umane. Molto lungo sarebbe l’elenco dei disastri avvenuti nel nostro Paese anche solo negli ultimi cinquant’anni. Basterà ricordare l’alluvione del Polesine del 1951 con 87 vittime e altre alluvioni e frane in Calabria e Sicilia nel 1951 e 1953 con centinaia di morti, la frana del Vajont del 1963 con quasi 2000 morti, l’alluvione di Firenze del 1966 con 27 morti, il disastro della Val di Stava del 1985 con 268 vittime, la frana della Valtellina del 1987 con oltre 20 morti e l’alluvione e le frane di Sarno e Quindici, in Campania, del 1998 con 159 morti.

Molti di questi disastri non possono essere imputati alla semplice “fatalità” di eventi meteorologici particolarmente intensi e, come tali, non controllabili dall’uomo. Esiste infatti quasi sempre un “concorso di responsabilità” identificabile in numerose attività che l’uomo svolge nel suo ambiente e che contribuiscono ad accentuare le situazioni di rischio dovute alle intrinseche caratteristiche geologiche, idrogeologiche ed idrauliche del territorio.

In un quadro generale di tale gravità, è dunque necessaria un’inversione di tendenza, affinché tutte le attività che l’uomo svolge sul territorio siano pienamente compatibili con la salvaguardia dell’ambiente e delle sue risorse e, prima di tutto, con l’incolumità della popolazione civile. Fra le attività del nostro Gruppo di ricerca vi è anche quella di divulgare la conoscenza scientifica e il senso di responsabilità fra tutti coloro, pubblici e privati, che a diverso titolo operano sul territorio, poiché le opere e gli interventi di prevenzione delle calamità naturali possono essere veramente efficaci soltanto se viene acquisita, da parte di tutti, la piena consapevolezza delle responsabilità che abbiamo nei confronti della sicurezza dei nostri simili e della integrità dell’ambiente.

Il caso della Val di Stava – tragedia indotta unicamente da cause antropiche – è tuttavia emblematico anche nei confronti di disastri naturali, in gran parte prevedibili, per i quali è mancata una corretta valutazione delle conseguenze dovute ad incombenti processi di instabilità di versante. Il fenomeno della liquefazione, ad esempio, che si è avuto sia a Stava, per la parte di materiale franato (circa 180.000 m3), che a Sarno, ha comportato il repentino passaggio allo stato fluido di migliaia di tonnellate di materiale incoerente che in entrambi i casi si è riversato a valle con grande forza distruttrice, amplificando considerevolmente l’entità dei danni indotti all’ambiente, alle infrastrutture e all’uomo.

Ritengo pertanto che questa Rassegna dei contributi scientifici sul disastro di Stava, che esce con il sostegno finanziario del G.N.D.C.I., possa concorrere a questa opera di sensibilizzazione, offrendo alla comunità scientifica e agli amministratori pubblici importanti spunti di riflessione sulle cause che determinano lo scatenarsi di simili, evitabili sciagure, dovute in molti casi alla superficialità e alla negligenza dell’uomo.

Lucio Ubertini 
Presidente del G.N.D.C.I

Perugia, 3 giugno 2003